lunedì 16 aprile 2012

Giocattoli intelligenti per derubarci dei nostri sogni

Un robot che gioca a nascondino. Sensori che gli permettono di evitare ostacoli, cercare e trovare il bambino. Un giocattolo consigliato per bambini da un'età che oscilla fra i 18 mesi e i 3 anni. Giocattoli di ultima generazione, intelligenti li chiamano.
Siamo nel tempo che passa e s’incunea sottopelle – nel percuoterci attraverso la pervasività dei media – s’articola come destituzione di una deambulazione di pensiero, in quel salto generazionale, di crescita improvvisa che Enzo Mari, designer e teorico che pone l’etica come obiettivo dei suoi progetti, individua come parte integrante della contemporaneità, nelle nascite che oggi sono già come uno stadio di morte, usando espressioni forti – dunque, affronta quel passo che oggi porta il bambino dalla nascita ad un saltare tappe importanti della sua esistenza.
Nel tempo della tecnica come «ristagno sociale» (1), l’evoluzione scientifica sembra ulteriormente confermare l’approccio teorico di Jean-François Lyotard (2) ponendosi come scienza del linguaggio; l’odierna scienza altro non sarebbe che una continua ricerca sul linguaggio ed il controllo di esso sarebbe il luogo dove si determinerebbero i detentori del potere.
Ponendo il discorso nell’ottica di una scienza come linguaggio, l’introduzione di ulteriori sviluppi tecnologico-mediatici nell’ambito dell’infanzia, riporta il discorso sull’annullamento dello sforzo immaginativo – avvertimento già lanciato da Enzo Mari, da tempo attivo nel campo dell’infanzia e della sua restituzione al luogo del sognare – che si realizza facendo leva sull’intorpidimento, sulla narcosi mcluhaniana (3) da estensione mediatica, da autoamputazione come protezione da uno shock; per cui il bambino che si relaziona, interfacciandosi con l’estensione di parte di sé, in quanto media il robot-nascondino si pone come estensione del soggetto, in un’età che s’innesta come punto nevralgico dello sviluppo psichico, fa in modo che il bambino corra il rischio di relazionarsi con un discorso che è Altro che non può fornire al bambino né lo sforzo immaginativo né la condizione partecipata di un messaggio che al soggetto ritorna, alienando proprio il messaggio, in quel punto in cui l’inconscio dovrebbe strutturarsi come «discorso dell’Altro [...] il soggetto non può cogliere nulla se non la soggettività stessa che costituisce un Altro in assoluto» (4).
Giocattoli intelligenti per derubarci dei nostri stessi sogni.
Francesco Aprile


(1) Russell, B., Autorità e individuo, Longanesi, Milano 1980.
(2) Lyotard, J. F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 9, 10, 14: «Il sapere scientifico è una specie di discorso. Si può dire che da quarant’anni le scienze e le tecnologie di punta vertano sul linguaggio: la fonologia e le teorie linguistiche, i problemi della comunicazione e la cibernetica, l’algebra moderna e l’informatica, gli elaboratori e i loro linguaggi, i problemi di traduzione dei linguaggi e la ricerca di compatibilità fra linguaggi-macchina, i problemi di memorizzazione e le banche dati, la telematica e la messa a punto di terminali intelligenti, la paradossologia, e l’elenco non è esaustivo. [...] Come gli Statinazione si sono battuti per dominare territori [....] è ipotizzabile che in futuro essi si batteranno per dominare l’informazione».
(3) MCLUHAN, M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 59: «Il principio dell’autoamputazione come sollievo immediato alle tensioni del sistema nervoso centrale si applica facilmente alle origini di tutti i media di comunicazione, dalla parola al calcolatore».
(4) Lacan, J., Scritti. V. 1, Einaudi, Torino 2002, pp. 12, 16.